L’11 ottobre ai Chiostri di San Pietro aprirà i battenti la più importante mostra antologica italiana dedicata all’artista britannico David Tremlett.
Avere David Tremlett a Reggio Emilia è una grande opportunità, che si può leggere in almeno tre modi differenti.
Reggio Emilia città del contemporaneo. Quando si parla di cultura a Reggio Emilia è inevitabile citare la favolosa (quasi mitologica, nei racconti di che c’era) stagione della sindacatura di Renzo Bonazzi. Il Living Theater, Musica/Realtà con Gentilucci, Nono, Abbado e Pollini nelle fabbriche, la neoavanguardia e il Gruppo 63, fino all’impegno ultimo di Bonazzi – questo non così conosciuto – in una delle imprese culturali più significative della recente storia culturale della città, le Edizioni Diabasis.
Una delle intuizioni potenti di quella stagione fu quella di leggere le trasformazioni della società utilizzando la lente dell’arte, inevitabilmente una lente contemporanea. Lo sguardo sul mondo è sempre contemporaneo, si tratta di applicarlo in maniera intelligente e artisticamente stimolante, come in effetti avvenne. Da un certo punto di vista tutta la parabola del Reggio Approach di Loris Malaguzzi può essere letta nello stesso modo: guardare ad una cosa “antica” come l’educazione con occhi nuovi, idonei ai tempi e con capacità di visione futura.
La vocazione al contemporaneo scorre dunque potente nelle vene di questa città, rendendola molto più interessante di altre, più paludate e accomodate in un passato che non passa mai.
La storia espositiva di Palazzo Magnani (prima e dopo il passaggio a Fondazione), l’operazione di Claudio Parmiggiani “Invito a” con le opere di Sol LeWitt, Luciano Fabro, Robert Morris, Eliseo Mattiacci, la coraggiosa iniziativa delle opere contemporanee all’interno della Cattedrale, il Festival “Aperto” della Fondazione I Teatri, Fotografia Europea (nel 2025 giungerà alla ventesima edizione), gli interventi di Santiago Calatrava che segnano una presenza geografica prima dispersa nella pianura indistinta, Curiosa Meravigliosa di Joan Fontcuberta, la Collezione Maramotti, la complessa operazione di rigenerazione architettonica e urbana alle Officine Reggiane, tutto racconta di come la città abbia saputo attivare costantemente lenti adeguate ai tempi.
Cosa chiede, però, l’arte contemporanea allo spettatore? Richiede attivazione, più raramente, a mio parere, contemplazione. Un po’ come avviene per l’attività sportiva: è necessario vincere la pigrizia, attivarsi e godersi, infine, la ricompensa, non solo in termini di benessere fisico, ma anche di rilascio di endorfine. Alla fine di una intensa attività fisica siamo stanchi ma soddisfatti. Ci sentiamo più vivi.
Con le mostre di arte contemporanea – ben fatte e con gli artisti giusti, s’intende – l’esperienza è molto simile. L’operazione che David Tremlett ha pensato per Reggio va in questa direzione.
All’apparenza alcune delle opere di Tremlett sono le classiche opere che suscitano lo scontato commento: “Ma questo lo so fare anch’io”. Ecco, questa è la pigrizia da vincere, lo scoglio che l’artista ci chiede di superare per immergersi non in un prodotto da contemplare, ma in un processo da fare proprio, da interiorizzare e, magari anche, da vivere in prima persona.
Another step, la mostra allestita ai Chiostri di San Pietro – consigliamo di visitarla accompagnati dalla voce della curatrice Marina Dacci che si può ascoltare da ciascun telefonino – racconta la storia di un viaggio lungo cinquant’anni, di come lo spazio, i luoghi, le architetture, le persone, i suoni, le forme e i colori abbiano lasciato una traccia nella memoria dell’artista, una vera e propria “memoria delle membra”. “Rimembranza” è la parola più corretta, proprio perché di ogni esperienza corporea le nostre membra hanno un ricordo che può manifestarsi in forme artistiche.
La ricompensa arriva dopo aver superato questo pregiudizio dello sguardo, abituato ed educato (male) a riconoscere come oggetti d’arte esclusivamente i prodotti finiti che ci fanno esclamare, passivamente, “che bello!”. Nell’epoca attuale la bellezza va conquistata e non si tratta esclusivamente di un riconoscimento esteriore, piuttosto dell’esito di un percorso interiore che è anche conoscitivo ed esperienziale. L’arte contemporanea ci chiede partecipazione e, certe volte, ci spinge a prendere posizione, ci chiede di agire per cambiare le cose.
Rigenerazione urbana e sociale. E qui veniamo al secondo aspetto di questa opportunità. David Tremlett ha realizzato per la città un’opera permanente, The Organ Pipes, rivisitando i tredici silos e una facciata dell’ex mangimificio Caffarri, un luogo dismesso nel quartiere di Santa Croce che torna a nuova vita ospitando la Fondazione Reggio Children con il progetto ReMida, il centro di produzione teatrale MaMiMo e una palestra di boxe, all’insegna di una integrazione polifonica (anche da qui il titolo dell’opera) di linguaggi e attività generative e inclusive. Arte e rigenerazione sono qui alleate per una forte operazione di rigenerazione sociale, in un quartiere – quello di Santa Croce – duramente provato dalle vicende storiche e urbanistiche, oggi al centro di una rinascita potente. Le quattro “geoesplorazioni” in programma tra ottobre e gennaio consentiranno alle persone di riappropriarsi di un luogo denso di stratificazioni a partire da questo segno contemporaneo.
Arte pubblica e complessità. The Organ Pipes, dunque, come opera d’arte nello spazio pubblico. Qui sta la terza opportunità che la città può cogliere. Arricchire i luoghi e i percorsi quotidiani di opere d’arte significa “obbligare” lo sguardo ad un “inciampo” imprevisto. Possono così nascere domande legate all’intenzione dell’artista, al significato di un intervento, si produce cioè un movimento verso la complessità. L’arte nello spazio pubblico allena lo sguardo alla complessità delle sovrapposizioni, ci abitua a considerare la realtà come stratificazione storica di piani, azioni, interventi, differenti visioni. Esattamente come hanno fatto in questi giorni, in maniera veramente esemplare, i ragazzi del Liceo artistico Chierici che hanno reinterpretato lo spazio che collega l’ex Caffarri ai Chiostri di San Pietro con interventi visivi di “guerrilla urbana”. Attraverso il linguaggio di Tremlett si sono (ri)appropriati di una storia passata e ne hanno interpretato il futuro.