Nel novembre del 2019 La Fondazione Palazzo Magnani ha prodotto una mostra sull’ornamento, What a Wonderful World. La lunga storia dell’ornamento tra arte e natura, spaziando dalle scienze naturali, all’antropologia, all’arte, fino alle scienze sociali. Uno dei nuclei dell’esposizione – e dei motivi specifici che ne hanno determinato la produzione proprio a Reggio Emilia – riguardava l’esperienza dell’Ars Canusina. Negli anni ’30 del Novecento, una psichiatra reggiana, Maria Bertolani Del Rio, inaugurava una nuova esperienza di ergoterapia, a favore degli ospiti della Colonia “Antonio Marro”, ragazzi e ragazzi “frenastenici emendabili”, cioè in grado di conquistare spazi di autonomia. L’intuizione della Del Rio consentì ai ragazzi di lavorare alla produzione di oggetti di artigianato artistico (ricamo, ceramica, decorazione) a partire dalle forme e dai motivi ornamentali delle architetture romaniche e medievali, ancora visibili nelle pievi e nei castelli di epoca matildica (“canusina” deriva, appunto, dalla contessa Matilde di Canossa). Con grande e crescente meraviglia, la Del Rio annotò i grandi progressi conseguiti dai suoi ragazzi, proprio grazie alla combinazione terapeutica del lavoro manuale e della forma artistica: «Sembra che una fiamma – scriveva sulla Rivista di Freniatria – tenuta accesa nella stirpe attraverso generazioni e generazioni ma affievolita e quasi invisibile, ora si ravvivi e brilli di nuovo splendore. Nonostante i danni della malattia, l’attrattiva per il lavoro artistico, il piacere della creazione individuale, agisce come uno stimolo potente e fa raggiungere risultati insperati.»
Quello che segue, con alcune integrazioni, è il mio contributo alla giornata di studi “Emilia Romagna Ricamo”, Corte Bebbi, Bibbiano (RE), 6 ottobre 2018.
Il contributo che vorrei portare in una giornata dedicata all’Ars Canusina riguarda uno degli aspetti su cui, come Fondazione Palazzo Magnani, abbiamo inteso fondare una delle linee di lavoro per i prossimi anni: la relazione tra arte e salute, intesa nelle dimensioni individuale e sociale.
Sempre più frequenti sono le occasioni di dibattito pubblico e gli studi scientifici sull’impatto della cultura e dell’arte sul benessere e la salute delle persone e delle comunità. Le ultime edizioni della rassegna LuBeC (Lucca Beni Culturali), il numero monografico della rivista Economia della Cultura del febbraio 2017 (ed. Il Mulino), il recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review (OMS 2019) sono tutti segnali di una relazione ormai “sdoganata”, anche dalle scienze statistiche che con sempre maggiore evidenza sottolineano la relazione inversamente proporzionale tra la possibilità di una comunità di godere di opportunità di crescita culturale e la sua esposizione a necessità di assistenza sociale o sanitaria.
Ritengo che uno degli aspetti più interessanti di questa riscoperta (perché già nell’esperienza della Bertolani Del Rio stava questa consapevolezza) sia legata ad un altro “sdoganamento”, quello della parola “salutogenesi”, fino a pochi anni fa relegata a contesti marchiati, a torto, dallo stigma della pseudoscienza.
Devo alla lettura dei lavori della pediatra tedesca Michaela Glöckler e al suo contributo in Salute, malattia e salutogenesi (Weleda 2004) il mio primo contatto con il termine “salutogenesi”, introdotto attraverso una interpretazione economica dei fenomeni sociali. Ogni 50-60 anni secondo la teoria dell’economista russo Nikolai Kondratieff (1892-1938) si susseguono come onde sinusoidali delle fasi di sviluppo economico innescate da innovazioni tecnologiche che aprono nuovi scenari: tra fine 700 e inizio 800 la macchina a vapore determinò la nascita dell’industria tessile, quindi la siderurgia e i trasporti di massa, poi l’esplosione delle applicazioni delle scoperte elettromagnetiche e chimiche, l’industria legata al petrolio e ai suoi derivati, fino alla rivoluzione informatica e telematica degli anni a cavallo tra i due millenni.
Cosa caratterizzerà la sesta onda di Kondratieff? Secondo Leo Nefiodow non ci sono dubbi: saranno le tecnologie applicate al dominio della vita e le sue ricadute in termini di salute, generando uno sviluppo economico incentrato sull’industria bio-farmaceutica e sui servizi orientati alla salute psico-sociale.
Il sesto Kondratieff sarà incentrato sulla salute. Ciò significa che per la prima volta nella storia il focus dello sviluppo economico e sociale non sarà una macchina, un processo chimico, una energia o una tecnologia, piuttosto sarà l’essere umano con i suoi bisogni fisici, mentali, psicologici, sociali, ecologici e spirituali. Dobbiamo lasciarci alle spalle le caratteristiche dei cicli precedenti. Ora al centro della scena c’è l’essere umano. Questo è il messaggio del sesto Kondratieff: la salute dell’uomo è il miglior programma per il futuro”
(Leo e Simone Nefiodow, The Sixth Kondratieff. The Growth Engine of the 21st Century, 2014).
Secondo i calcoli dell’OMS, se la dipendenza da droghe e da farmaci crescerà al ritmo in cui è cresciuta negli ultimi vent’anni, nel 2100 il 50% della popolazione sarà farmaco o tossicodipendente, una persona su due sarà assuefatta all’abuso di sostanze e avrà più o meno bisogno di aiuto. I 158.000 suicidi registrati negli USA nel 2017 e le 98 milioni di persone che hanno avuto prescrizioni di medicinali a base di oppioidi nel 2015 inducono il premio Nobel per l’economia Angus Deaton (autore con Anne Case dello studio Deaths of Despair and the Future of Capitalism, Princeton University Press, 2020) a definire quella USA “una società che non riesce più a offrire ai suoi membri un ambiente nel quale essi possano vivere una vita dotata di senso”.
Proprio sul legame tra il senso e la salute può esserci d’aiuto l’approccio salutogenico. Il paradigma attualmente dominante è incentrato prevalentemente sulla patogenesi, sulla ricerca delle cause della malattia e alla loro eliminazione tramite una cura. Secondo il paradigma salutogenico, invece, la domanda fondamentale non riguarda le cause della malattia e la loro prevenzione, piuttosto indaga le fonti della salute, come si crea salute e come può essere alimentata e rinforzata.
Perché a parità di condizioni alcune persone si ammalano e altre no? Cosa rende persone con biografie anche molto “pesanti” più sane di altre vissute in condizioni materiali oggettivamente migliori?
Nel 1972 lo stato di Israele commissionò al dott. Aaron Antonovsky una valutazione dello stato psichico e fisico delle persone anziane. Al termine della sua indagine, con grande sorpresa, constatò che tra le persone più sane che aveva trovato vi erano anche diversi sopravvissuti all’orrore dell’olocausto. Come era possibile che chi aveva attraversato una delle esperienze più devastanti sotto ogni punto di vista per un essere umano potesse ancora conservare e sviluppare salute, più e meglio di altri che attraverso quell’inferno non erano passati? Antonovsky individuò la risposta nel senso di coerenza: tanto più una persona ha sviluppato un forte senso di coerenza, di integrità, di unità del suo essere, di autostima, tanto più è in grado di reagire positivamente a tutto ciò che la vita gli porta incontro. Coerenza genera resilienza, cioè la capacità reagire positivamente alle avversità.
Significative, in tal senso, la testimonianza di Viktor Frankl, psichiatra e filosofo austriaco sopravvissuto alla deportazione in quattro lager nazisti, o la poesia lasciataci da Lodovico Belgiojoso (1909-2003), architetto tra i protagonisti dello sviluppo della Milano del dopoguerra, autore del progetto della Torre Velasca. Antifascista, fu preso e portato a Mauthausen con il collega Banfi e con il fratello del designer Albe Steiner, Mino Steiner, che non fecero ritorno. Scrive Belgojoso in una sua famosa poesia da quell’inferno (recentemente presente a Reggio Emilia in una mostra dedicata alla coppia Lica e Albe Steiner):
Ho fame, non mi date da mangiare,
Ho sete, non mi date da bere,
Ho freddo, non mi date da vestire,
Ho sonno, non mi lasciate dormire!
Sono stanco, mi fate lavorare,
sono sfinito, mi fate trascinare
un compagno morto per i piedi,
con le caviglie gonfie e la testa
che sobbalza sulla terra
con gli occhi spalancati…
Ma ho potuto pensare una casa
in cima a uno scoglio sul mare
proporzionata come un tempio antico.
Sono felice: non mi avrete.
(Gusen, 1945)
Malattie e stress ci accompagnano, chi più chi meno, durante tutta la vita, tanto che la salute oggi non è più, come un tempo, identificata come l’assenza di malattia, cioè una dimensione statica dell’essere, ma come una capacità di adattamento, un processo di ricerca di un equilibrio dinamico, in continuo mutamento.
Quali sono allora i fattori che concorrono allo sviluppo del senso di coerenza? Oltre a diversi fattori socio-economici (un lavoro appagante, il riconoscimento sociale, la sicurezza economica), la cultura (l’arte in particolare) riveste un ruolo determinante. Tutte le risorse culturali a cui possiamo attingere non solo in termini di fruizione (ad esempio visitare un museo, andare al cinema o a teatro) ma soprattutto sotto forma di partecipazione attiva (imparare a suonare uno strumento musicale, esprimersi nella danza, frequentare corsi di pittura o di produzione artistica, percorsi attivi nei luoghi dell’arte e della storia) concorrono nel tempo, auspicabilmente fin dalla scuola dell’infanzia, ad edificare un patrimonio simbolico-spirituale a supporto della nostra idea di unità-della-persona e a sviluppare attitudine alla resilienza, oltre che capacità relazionali e sociali di qualità. Evidenze scientifiche e statistiche indicano ormai inequivocabilmente che cultura e arte non hanno nulla a che fare con il tempo libero, piuttosto invece con la salute, il benessere e lo sviluppo integrale delle persone. Indirettamente, ma con peso crescente, anche con l’economia, sotto almeno tre punti di vista: la cultura è un settore produttivo in grado di legarsi non solo al turismo ma anche all’educazione, al welfare e alla sanità; la cultura produce un impatto economico significativo, sia per indotto generato (ogni euro speso dalla Fondazione Palazzo Magnani genera circa 4 euro per la città), sia in termini di risparmi di costo sulla spesa pubblica di welfare e sanità; persone culturalmente attive sono persone più sane e soddisfatte, dunque più produttive, più creative e orientate alla risoluzione dei problemi piuttosto che alla loro generazione. Tutta la storia della Olivetti di Ivrea è costellata di richiami a queste evidenze.
Alla luce di quanto detto, ritengo sia proprio in questa intuizione profondamente salutogenica l’eredità più significativa dell’esperienza dell’Ars Canusina: la pratica artistica applicata a forme archetipiche particolarmente salutari (ma qui si aprirebbe un’altra porta che ci porterebbe lontano) come leva di sviluppo di forze di salute, una pratica che può accompagnare l’uomo durante tutta la vita, in qualunque condizione di salute si trovi.
La sfida del secolo in cui siamo da poco entrati sarà proprio quella di ricomporre la frattura tra le discipline scientifiche e artistiche, tra le scienze della natura e le scienze dello spirito, ricomponendo così nello stesso tempo un’idea coerente e unitaria dell’essere umano, composto di corpo, anima e spirito, fornendo alla medicina, all’educazione, al welfare, alle scienze sociali ed economiche leve nuove, strumenti innovativi di pensiero e azione concreta. In questo senso la lezione di Maria Bertolani Del Rio sarà allora certamente riconosciuta come una di quelle intuizioni inattuali che hanno aperto una strada e indicato una via per il futuro.