Tre cose che il Covid ci ha indicato
Veniamo da diversi mesi di pensieri obbligati sul futuro, inizialmente orientati da incertezza, ansia e paura generate principalmente da una desolante comunicazione scientifica, oggi, per fortuna, stimolati da maggior chiarezza e da una voglia di ripresa che spingono inevitabilmente all’ottimismo.
La prima lezione che questi mesi portano al settore della cultura (e dell’educazione che ne è stretto parente) è che alla cultura e all’arte si continua a pensare in termini di “tempo libero” e quindi di non urgenza. Prima vengono sempre altre cose. Questo nonostante il settore conti 416.080 imprese, numero che incide per il 6,8 % sul totale delle attività economiche del Paese e produca un fatturato di circa di 96 miliardi di euro (4 miliardi in più rispetto al 2017). In crescita anche gli occupati, che raggiungevano quota 1.550.000 (+1,5% rispetto al 2017), un numero superiore per lo +0,9% al tasso di occupazione nazionale negli altri settori (Rapporto Symbola 2019 su dati 2018).
L’infelice frase del Presidente Conte che nell’ultimo decreto dice di aver pensato anche ai nostri “artisti che ci fanno tanto divertire” è emblematica di un atteggiamento divenuto abitudine: se rimane qualcosa pensiamo anche alla cultura.
Questa concezione “residuale” va smontata, non solo con la forza dei numeri che citavo sopra, ma contrapponendo una nuova e radicalmente differente prospettiva: cultura e arte non hanno nulla a che fare con il tempo libero inteso come otium vs negotium, ma con salute e benessere, con lo sviluppo di forze di salute, dunque anche motore e driver di sviluppo individuale, sociale ed economico di una comunità.
Se non si coglie questo cambio di paradigma, anche questo supportato dall’evidenza statistica (What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review, OMS 2019), qualsiasi riflessione sul futuro del settore nascerà inevitabilmente e falsamente pregiudicata.
Quali sono, dunque, i lasciti dell’esperienza Covid-19 di cui fare tesoro?
Primo: le iniziative culturali dovranno essere pensate con modalità nuove, limitando solo in certi momenti i “grandi eventi” che aggregano o consentono a grandi numeri di persone una fruizione massiccia, privilegiando invece la forma “tempo e spazio individuale”, percorsi espositivi pensati per un rapporto più intimo e profondo con l’opera e con i contenuti.
Secondo: le Istituzioni culturali dovranno gradualmente implementare una forma-canale, diventare editori di contenuti di alta qualità digitale assemblati con modalità innovative da mettere a disposizione dei propri differenti pubblici.
Terzo: è tempo di costruire alleanze tra discipline. Pensare alla cultura e all’arte come leva di sviluppo per le forze di salute degli individui e delle comunità significa costruire nuovi dizionari, nuove visioni, nuove piattaforme in cui artisti, architetti, amministratori pubblici e privati, corpi intermedi, forze economiche, scienziati, medici, antropologi, educatori, esperti di welfare si incontrano per costruire nuove soluzioni.