Considerazioni a margine delle geografie di Elena Mazzi
“Ma quali sono le due più alte forme d’arte?” chiede Ernest a Gilbert, nel breve testo in forma di dialogo “Il critico come artista” di Oscar Wilde, ottenendone come risposta: “La Vita e la Letteratura, la vita e la perfetta espressione della vita”. Di una vita finalmente interessata alla vita, verrebbe da soggiungere. Considerazioni appropriate ad una riflessione aperta al sentimento diffuso che tutto si stia riducendo a immagine di un tempo della fine, avvicinabile e penetrabile soltanto nelle terre di confine, o forse, ancor meglio, nei luoghi della marginalità più estrema e definitiva. L’esperienza pertanto del gioco infinito delle metamorfosi della Natura e dell’inesausta possibilità di rinnovamento di qualunque contesto.
L’opera di Elena Mazzi è quindi in primo luogo percorso di conoscenza che, per scelta o vocazione, diviene narrazione della fisionomia e dell’organizzazione dei territori: una via determinante per la definizione di una sorta di antropologia visiva, per dirla con le sue parole.
Ma oltre al tema del racconto e dell’evidente requisito di una fantasia necessaria causa prima dei progetti, i lavori rivelano, per l’evidenza di uno schema o anche solamente per la naturale presenza/testimonianza dell’autrice, la complessità e la drammaticità dei conflitti che possono determinarsi nelle relazioni tra geografia fisica, umana, economica e politica. Nei territori in cui il mondo dell’immaginazione e quello dell’invenzione, necessario alla tecnica, convergono nel misurarsi, entrambi determinati, nella concreta ricerca di soluzioni muovendo nella sfera di una surrealtà spesso complessa da cogliere e da raffigurare.
Una condizione per cui appare che l’inimmaginabile sia realtà, nel restringersi degli spazi e dei tempi indispensabili a rappresentare e simbolizzare quello che mai era stato concepito.
Per questo la realizzazione sarà incontaminata, risolta nella trasparenza e nella sua subordinazione al sociale. Varrà tuttavia la rinnovata percezione degli spazi e il presentimento che la realtà possa essere messa in discussione nella manifestazione di una profonda volontà di servizio e dalla capacità di influire, tanto sul contesto della vita collettiva quanto sull’ambiente naturale. Si indagheranno, allora, dapprima la linea, il piano, ogni prospettiva orizzontale, considerandone le contaminazioni e gli sviluppi nella loro complessiva sincronicità, ma anche la successione dei diversi mutamenti nel tempo, nella pratica rinnovata di una visuale archeologica della profondità.
Ad ogni modo l’idea di un mondo in cui ci si trovi ad agire senza privilegi, con la consapevolezza di dover muovere con l’umiltà di chi è arrivato dopo, è certo molto più prossima alla sensibilità di Henry David Thoreau che a quella di Ralph Waldo Emerson (“La terra solida! Il mondo reale!” nell’oltrepassare la concezione di una Natura simbolo dello spirito), ma, oltre a questi aspetti, l’iniziativa di Elena Mazzi pare conformarsi per l’attenzione posta al mutare delle condizioni storico-sociali ed ambientali ed agli eventi e alle cause da cui traggono origine.
Ed anche, forse persino più importante, per l’interpretazione della Natura e della società, sempre indirizzandosi a cogliere analogie, a definire modelli perfino riferibili ad organismi viventi, frequentandone gli ordini, le connessioni e le relazioni di interdipendenza, calandosi nell’insieme delle metamorfosi, nell’esserne soggetto attivo, coinvolto nei processi che definiscono via via le strutture e le forme biologiche o sociali che siano.
Nessuna ansia che il futuro sia già qui, si direbbe. Nessuna pulsione al futuro: gli impedimenti del contemporaneo richiedono soluzione ora, nella pratica di una esperienza urgente e di un’arte non occasionale, totalmente coincidente con lo «spirito dei tempi».
Elena Mazzi, “Snow Dragon” e “Spicule”, Chiesa SS. Carlo e Agata via San Carlo 1, Reggio Emilia, dal 24/10 al 8/11/2020. Una produzione Flag No Flags Contemporary Art