Annotazioni a margine dell’immagine generata dall’intersezione delle opere di Michele Davoli e Beppe Villa con la scultura sonora di Giuseppe Cordaro nella Chiesa dei SS Carlo e Agata e nella Serra di Villa Terrachini
La fotografia prodotta è avvincente, espressione di fatto di una molteplicità di esperienze e di codici. Eppure la forma appare unitaria, rivelazione di una singola voce, interpretabile su vari livelli. Un crocevia, si direbbe, certo un passaggio, tra luoghi coincidenti e tra le varie intersezioni che le opere di Beppe Villa, Michele Davoli e le sculture sonore di Giuseppe Cordaro determinano nell’unicum stabilito fisicamente, in un primo momento, nella relazione con la serra di Villa Terrachini e poi con l’architettura di Bartolomeo Avanzini, nella reiterazione figurata esposta nella Chiesa dei SS Carlo e Agata.
“So però che l’Universo è qualcosa di diverso da un meccanismo interconnesso […] In lui, in tutti i luoghi e in tutti i momenti, si manifesta segretamente e instancabilmente una libertà creativa e lucida, uno scopo misterioso, un’intenzione discreta e paziente. […] come un impercettibile respiro che passa, come un timido barlume di luce che sorge dallo spessore della notte – e tuttavia manifesto e abbagliante come l’insostenibile luminosità di mille soli – che nessuno di noi può afferrare nella sua pienezza, ma al massimo intuirlo o intravederlo, sotto le singolari inclinazioni e illuminazioni fornite a ciascuno dalla propria esistenza”.
Alexander Grothendieck (La Clef des Songes, 1987)
Ancora una prospettiva antropologica, diretta al tema del comportamento, all’esperienza valutativa in cui si sostanzia la forma dell’opera. Un bel carico eversivo calato sull’attualità satura, contraddistinta da gesti vuoti e dall’inessenziale di ogni natura. Vale qui, nell’allestimento e poi nell’immagine generata, il desiderio puro, fondamentale e originario di sottrarsi ad ogni compromesso, non lasciando traccia ordinaria. Istinto di sopravvivenza? Misurata fede nei paradigmi ingannevoli della cultura dominante? Alla potenza immateriale dell’economico pare necessario opporre segni diversi, opposti, non conformi, generando la condizione di invisibilità da cui riavviare la sfida generosa e ambigua del dono e della dépense improduttiva. Affidandosi per queste vie alla rappresentazione del dispendio simbolico, proprio dell’arte significativa, rivolto a nuove forme di incontro e di relazione. Libertà da ogni obbligo, quindi, nell’affrancarsi da ogni aderenza compiuta o definitiva, nella ideale condizione di quiete temporanea da cui manifestare la trasformazione delle forme.
Le opere testimoniano di un processo eroico, verrebbe da dire per queste premesse, capovolgendo una lettura del contemporaneo di Jean Baudrillard: nessuna vocazione alla pulsione di autodistruzione, all’irrealtà e all’istantaneità dell’oggetto d’arte “risplendente nell’oscenità pura della merce”, nel contrapporsi “all’impeto di non voler significare niente”.
Persino il concetto di “Wille zur Macht”, il tema della “volontà di potenza”, a cui per qualche aspetto parrebbe necessario riferirsi, sembra rinviare più alla sfera apollinea della ragione e ad una pacata grandezza che non al dominio dionisiaco del caos e della forza. “E sapete voi che cosa è per me il mondo? Devo mostrarvelo nel mio specchio?”. Friedrich Nietzsche rivela la dissolvenza del tragico e dell’indistinto da cui emergerà la sconvolgente profezia del superuomo, di una nuova umanità e persino di una vita indifferente alla vita. Di questo mondo duplicato ed estremo, impenetrabile, tra verità e illusione, potrà render conto solamente una immagine simbolica e dell’enigma saremo testimoni, ben soccorsi dal quesito di Wittgenstein: “Quell’ombra che l’immagine getta sul mondo, direi, come afferrarla esattamente? Ecco un mistero profondo”.
Varrà allora la rappresentazione, la drammatizzazione del fine narrativo nella aperta ammissione e accettazione della circostanza che per immergersi nel mondo, cogliendo sub specie creationis il senso delle sue trasformazioni e metamorfosi, non vi sia altra via che la contemplazione.
“Ma io non cerco salvezza nell’indifferenza; la commossa meraviglia è la parte migliore dell’umanità” dice Faust contribuendo all’idea che possa infine disperdersi l’irriducibile antitesi tra mondo fisico e mondo interiore, tra razionalità ed intuizione. Ma dove rinvenire lo spazio di convergenza tra arte e scienza? Come restituire simbolicamente la loro radice comune? Per che via penetrare la Natura, o meglio, accostare il suo processo creativo?
Una ipotesi: il processo naturale orienta la narrazione. L’idea di un respiro, allora, non il respiro dell’umano, ma quello ininterrotto del mondo, ad indicare l’inclinazione alla semplicità ed anche ad una elementare tensione vitale nei fremiti o rumori, negli impulsi sintetici stratificati e a tratti persino distorti di Giuseppe Cordaro, a trarre ordine da un ambiente caotico. Su cui Beppe Villa, per via categorica, riversa forme incontaminate e basilari, proposte nella purezza dei volumi e delle superfici, nella nuda oggettività asettica, necessaria a renderle inaccessibili ad ogni profanazione consumistica. Animate di vita propria, in una autonomia esemplare. Ma il disegno della azione metamorfica della Natura, tolto o perduto, è restituito da Michele Davoli nei modelli che fissano la manifestazione dei fenomeni, delle norme che ne regolano i rapporti, i caratteri, le simmetrie e le asimmetrie. Perfino la trasmutazione della Natura sembra apparire, infine, fissandosi nel quadro temporale di una dimensione astorica e sovrasensibile.
Inclusa idealmente la componente sonora, la fotografia, nell’insieme, allinea ora forme minime e basilari, nella loro nuda inconfutabilità. La trasmissione dell’esperienza si avvia considerando i singoli elementi, ciascuno manifestazione e modello di particolari fenomeni: norme che ne regolano i rapporti, caratteri, simmetrie e asimmetrie. Occorrerà comunque una buona dose di ironia o di dissimulazione per attuare disegni persuasivi, adatti a ricomporre l’eterno dissidio tra idealità e realtà, tra poesia e vita, vien da pensare osservando l’impegno smisurato dissipato nel tentativo di costringere nello spazio sonorità e cose.
Quasi dissolta l’ombra antropomorfica – la pulsione a ricondurre universalmente ogni apparenza alle forme e ai destini umani – sembrano persino aprirsi, nell’ambientazione concreta e nella immagine che la interpreta, vie di espansione della coscienza nell’emulazione del mondo animale e vegetale.
Le letture ammissibili saranno quindi di semplicità primordiale, perché, come indicava Emilio Villa, “l’uomo primordiale non è mai solo … non ha orizzonti, è tutto nel tutto … presente solo a sé medesimo in una condizione in cui nemmeno vi è metamorfosi perché non vi è forma”.
Impulsi sonori, metalli, frammenti, reperti: la fotografia si concede, concreta quanto l’esperienza della parola, delle sillabe e delle lettere scomposte e ricostituite sulla pagina. Trascinante e fuorviante composizione contemporanea, visiva, letteraria o musicale che sia.
“Sub specie creationis” è un’opera ambientale di Michele Davoli e Beppe Villa realizzata nella serra di Villa Terrachini a Reggio Emilia. La fotografia ideata a cura di Flag No Flags Contemporary Art è proposta nella Chiesa dei SS Carlo e Agata dal 21 maggio al 4 luglio nel contesto di Circuito OFF Fotografia Europea 2021. La scultura sonora di Giuseppe Cordaro – parte integrale della produzione – sarà in esecuzione live nella serra e nella Chiesa dei SS Carlo e Agata il 21 maggio e il 4 luglio 2021.